I 20 paesi più inquinanti al mondo: quali sono?

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Grandi, grossi e inquinanti. Responsabili dell’effetto serra e al contempo pionieri delle energie rinnovabili. Senza un loro cambio di rotta, a poco potrebbero servire le nostre personali accortezze nel salvaguardare l’ambiente. Chi sono, dunque, i paesi che inquinano di più al mondo?

Se volessimo quantificare i gas serra emessi annualmente a livello mondiale, otterremmo la cifra mastodontica di 50 miliardi di tonnellate, tra consumo di energia per industrie di ferro, acciaio, cemento, materiali chimici, carta, e macchinari, attività agricole e di pesca, trasporti, armamenti, elettricità e gas, acque inquinate e discariche. Quali sono, però, i paesi che inquinano di più? Andiamo a scoprirlo. 

Menzione speciale per l’Italia, che rilascia circa 400 milioni di tonnellate di gas serra tra trasmissioni televisive insulse, costruzione di ecomostri e trasporto di pistacchi di Bronte per tutta la penisola. Come dimenticarsi, poi, del Regno Unito, la culla della rivoluzione industriale, la patria del carbone e delle macchine a vapore, nonché delle ambientazioni Steampunk. Ad oggi, la Corona britannica produce annualmente 430 milioni di tonnellate di gas serra, ma quando gestiva un impero equivalente al 70% delle terre emerse era il primo emettitore mondiale di CO2. Ma siamo ancora fuori dalla top 20.

Partiamo dal sud-est asiatico con 20°, 19° e 18° posto: Thailandia, Vietnam e Pakistan, 440 milioni…ciascuno. Secondo gli esperti, Thailandia e Vietnam continueranno ad usare carbone almeno per i prossimi quindici anni, in quanto, al momento, non sembra esistere un’alternativa concreta in grado di mantenere stabili i prezzi e garantire la loro sicurezza energetica, In più, queste due nazioni sono terreno di conquista per le multinazionali occidentali che, nemmeno a dirlo, sono responsabili della maggior parte delle emissioni di entrambe. Se avete una scarpa Nike, date un’occhiata all’etichetta. Thailandia, Vietnam e Pakistan sono tra i paesi più colpiti dal cambiamento climatico, pur contribuendo solamente a circa l’1.5% delle emissioni globali totali. 

Al 17° posto troviamo la Turchia, 460 milioni. Il parco giochi preferito da Tayyip Recep Erdogan emette anidride carbonica a causa delle fonti fossili importate dalla Russia. Per il 16° posto chiamiamo in causa il Sud Africa, 570 milioni. Dalla fine dell’apartheid a oggi, il governo ha fatto promesse su promesse, purtroppo osteggiate dalle grandi compagnie che operano nel paese, soprattutto nel settore dell’energia, prodotta per la maggior parte tramite il carbone. 

La situazione è simile a quella dello Stato al 15°posto: l’Australia, 610 milioni. Canberra contribuisce a un modesto 2.5% delle emissioni di gas serra globali, ma è anche uno dei maggiori inquinatori per gas serra pro-capite. Ogni australiano, infatti, produce 25 tonnellate di gas serra all’anno. Pensate che il 73% dell’energia elettrica prodotta in Australia proviene da combustibili fossili, gli allevamenti di pecore e mucche emettono metano, e di certo la deforestazione e gli alberi in fiamme non aiutano. 

Cambiando emisfero, arriviamo al 14° posto: Corea del Sud, 650 milioni, che è tra le più grandi utilizzatrici di combustibili fossili al mondo. Al 13° posto figura il Messico, 670 milioni. Storicamente, la fonte del successo messicano è stata proprio l’oro nero. L’estrazione di questo combustibile, cominciata alla fine dell’800 sulla terraferma, e adesso condotta sulle piattaforme costiere rappresenta ancora oggi la principale esportazione del paese. Ricorderete l’incidente della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, avvenuto nel 2010, uno dei maggiori disastri ambientali della storia, con 500 milioni di litri di petrolio mischiatisi alle acque del Golfo del Messico. 

Al 12° posto troviamo la Repubblica Democratica del Congo, 680 milioni. L’altra faccia della medaglia è che la RDC è tra i cinque Stati più poveri al mondo: circa il 70% degli abitanti, che sono più di 90 milioni, vive con meno di due dollari al giorno. Quindi, chi è che inquina, i congolesi che a malapena possono permettersi di accendere una lampadina, o chi sfrutta il paese per il proprio tornaconto? Ogni riferimento a Mohammad Bin Salman non è casuale, tant’è che all’11° posto della nostra classifica spicca proprio l’Arabia Saudita, 730 milioni. C’è bisogno di dire perché? 

Al 10° posto finalmente un po’ di Vecchio Continente, con il paese europeo più inquinante: la Germania, 760 milioni. Qui, cominciamo a discutere di nazioni che emettono gas serra in ragione del loro peso economico, dovendo sostenere spese più diversificate: garantire il funzionamento dei servizi pubblici, fornire gas ed energia ai cittadini, nonché mantenere la produzione ad alto regime. Lo stesso accade per lo Stato al 9° posto, il Canada, 780 milioni. Entrambi hanno cominciato a investire sugli impianti fotovoltaici, usare maggiormente il gas naturale e catturare carbonio.

A non tenere sotto controllo le proprie emissioni è l’Iran, all’8° posto con 900 milioni di tonnellate. Circa un quarto di queste ultime consistono nelle cosiddette emissioni fuggitive, cioè perdite o rilasci irregolari di gas per via di errori tecnici. Chi non sbaglia mai, almeno secondo lo stereotipo occidentale, è la nazione al 7° posto, il Giappone, un miliardo. Segue, al 6° posto, il Brasile, 1,4 miliardi. Nel paese verdeoro si parla di più di sei milioni di ettari disboscati, impiegati principalmente per l’agricoltura intensiva e l’estrazione di metano. A proposito, il prezzo della bolletta del gas ce l’abbiamo bene in mente. Al 5° posto troviamo la Russia, due miliardi. La maggior parte delle emissioni russe non riguarda il metano, bensì l’utilizzo di carbone nell’industria leggera e pesante. 

Per il 4° posto della nostra lista, compare uno Stato che forse non vi aspettavate: l’Indonesia, 2,4 miliardi. Qui, il dato che salta all’occhio riguarda i 130 milioni di tonnellate di emissioni annue di metano provenienti dai rifiuti. Sì, perché l’Indonesia, assieme a Filippine e Cambogia, è, senza mezzi termini, la discarica del mondo. Esiste infatti un vero e proprio mercato dei rifiuti, tramite il quale i paesi occidentali e la Cina inviano le proprie scorie ai governi stranieri, pagando loro il disturbo di prendersene carico. Come quei rifiuti verranno smaltiti, non è affar loro. Ora, arriviamo al podio. 

Al 3° posto figura l’India, con l’abnorme cifra di 3,4 miliardi di tonnellate. Moltiplicate le tonnellate di gas serra prodotte all’anno in media da un indiano, cioè due e mezzo, per il numero di indiani, ovvero un miliardo e quattrocento milioni. Aggiungeteci poi i processi di iper-urbanizzazione in città come Nuova Delhi e Mumbai, una gigantesca economia da mandare avanti, e i livelli di inquinamento, nel nord del paese, dieci volte superiori a qualsiasi altra parte del mondo. Il pasticcio è fatto. 

Al 2° posto, eccoli qua, gli Stati Uniti, 5,7 miliardi. C’è poco da dire: lo zio Sam ha contribuito più di tutti alla situazione in cui ci troviamo, tra espropriazione di terre, estrazione di petrolio in Texas, vari colpi di Stato, voli interni, fast food, mantenimento delle attrezzature dei Navy Seal e del generale baraccone che è divenuto oggigiorno il sogno americano. Un altro colpevole del riscaldamento globale? Il capitalismo. Non si tratta di un meme, ma del sistema commerciale mondiale. 

Non potendo ancora smaterializzare la merce per trasferirla da un posto all’altro, occorre stiparla in una gigantesca nave, dentro la stiva di un Boeing o all’interno di un camion. Comodo, certo, ma nel caso statunitense si parla di circa due miliardi di tonnellate di emissioni di gas provenienti unicamente dal settore dei trasporti. 

Washington sta provando a convertire la produzione di energia alle rinnovabili, ma c’è un problema con il paese a cui sto per conferire la medaglia d’oro come nazione più inquinante al mondo: la Cina, con ben 12 – dodici – miliardi di tonnellate, circa il 15% delle emissioni globali totali. E pensare che Pechino ha cominciato a fare sul serio, con l’industrializzazione, solamente a partire dagli anni ’50, sotto la guida di Mao Zedong.

Parliamo di uno Stato che ospita circa un miliardo e mezzo di persone, dipende principalmente dal carbone, e scava ovunque sia possibile in cerca di materiali. Vi siete mai chiesti come si costruiscono le turbine eoliche, essenziali per la conversione alle energie rinnovabili? Per fabbricare i loro generatori è possibile utilizzare il neodimio, un elemento chimico che per l’85% è estratto proprio dalle miniere cinesi. In generale, per creare componenti di qualsiasi prodotto tecnologico, quindi armi, computer, smartphone e anche automobili ibride, sono richieste le cosiddette terre rare. Ebbene, gran parte di queste ultime si trova proprio in Cina.

Cosa possiamo fare, noi poveri piccoli inquinatori, di fronte a questi giganti colossali? Per non parlare dello squilibrio a livello pro-capite, per cui un indiano medio emette 2 tonnellate di gas serra all’anno, un australiano 25, e un qatariota addirittura 40. Insomma, che senso ha fare la raccolta differenziata, diventare vegani, o stare meno tempo sotto la doccia? 

Secondo lo scrittore Jonathan Safran Foer, abbiamo perso la capacità di credere di poter fare qualcosa che cambi effettivamente le carte in tavola. Non possiamo aspettare che qualcun altro prenda decisioni per conto nostro, ed è necessario adoperarsi in prima persona riducendo tutte quelle abitudini che maggiormente contribuiscono al cambiamento climatico. Cosa cambierebbe se nel nostro piccolo facessimo qualcosa? Niente. Tuttavia, immaginate se fossimo in milioni a modificare gli stessi tipi di abitudine.